La guerra in Siria: un problema da risolvere o un enigma da sciogliere

La sanguinosa guerra civile siriana altro tassello della cosiddetta Primavera Araba, è un conflitto tra le forze governative di Bashar al Assad presidente siriano sostenuto dal suo strategico mandante l’espansionista e rivoluzionario Iran, e le forze d’opposizione riunite nella Coalizione nazionale siriana, una coalizione che il governo definisce "gruppo terroristico armato". Le ragioni del conflitto assumono i caratteri indefinibili di uno spettrale disegno della Storia nel quale tutto è buio o loscamente invisibile. La semplice distinzione tra forze lealiste e forze ribelli è del tutto inadeguata a spiegare l’origine e lo sviluppo di uno scontro senza prospettive di soluzione. Intervengono infatti a promuoverlo e fomentarlo forze interne alla Siria e forze esterne. Tra le prime militano i lealisti di estrazione alawita (corrente religiosa estremista islamica cui appartiene il presidente Assad ma ritenuta eretica dalla corrente principale dell’islam), e le infinite componenti religiose presenti tra i ribelli di opposizione. Le forze esterne sono rappresentate dai paesi arabi in cui l’islamismo sciita è prevalente, come il Qatar, l’Arabia Saudita, la Giordania la Turchia e la Palestina vicina ad Hamas, che sostengono i ribelli ai quali si aggiungono in un singolare e assurdo contesto anche i Mujaheddin. I Mujaheddin erano considerati terroristi nei conflitti iracheno e afgano, mentre in Siria sono appoggiati dalle democrazie occidentali in funzione anti Assad. Ai lealisti e al governo di Damasco danno invece appoggio la Russia, l’Iran, i feroci gruppi di fondamentalisti islamici del jihad e essenzialmente gli Hezbollah libanesi. La mancanza di obiettivi, di visioni per il futuro, di tattiche di guerra condivise e la mancanza di unità di comando dei ribelli e il frastagliato assemblaggio di paesi che li sostengono, sono tali da rendere illeggibile ogni scenario di guerra o politico.

Inizio del conflitto 

Il conflitto iniziato nel marzo 2011 con dimostrazioni pubbliche, si è progressivamente sviluppato in estensione territoriale e in intensità dei combattimenti tali da doversi parlare dal 2012 di autentica e violentissima guerra civile, a fronte della quale le organizzazioni internazionali hanno preso posizione. C’è chi accusa le forze governative e i miliziani travestiti con abiti non militari (Shabiha) di usare i civili come scudi umani e di puntare intenzionalmente le armi su di loro, c’è chi accusa i ribelli anti-governativi di abusi dei diritti umani, incluse torture, sequestri, detenzioni illecite ed esecuzioni sommarie di Shabiha e soldati.

Secondo i ribelli le proteste avevano l'obiettivo di ottenere dal presidente Assad l’attuazione delle riforme necessarie a dare un'impronta democratica allo stato. Secondo il governo invece quelle proteste promosse dal Coalizione nazionale dei Fratelli Musulmani miravano a creare uno Stato islamico radicale.

La ribellione, vista come fenomeno legato meramente alla dissidenza popolare, ha ricevuto notevole apporto da parte di nazioni terze in termini di armi e di uomini. Gli insorti, dapprima indigeni, sono stati infatti appoggiati da numerosi gruppi legati al movimento jihadista e provenienti dalle regioni del nord Africa e Medio Oriente e armati da alcuni paesi occidentali fra cui gli Stati Uniti.

Come si vede trattasi di un groviglio di fedi religiose, di interessi, di paesi coinvolti, di ragioni false divulgate come vere, di accanimenti feroci dall’una e dall’altra parte, che a differenza di quanto accaduto in altri Paesi non ha ancora trovato un suo epilogo.

Cosa permette a Damasco di resistere così a lungo all’offensiva dei ribelli? Il regime di Assad all’interno può vantare una rigida compattezza. Maher al-Assad, fratello minore del presidente, è p.e. il capo della Guardia repubblicana del regime e controlla una divisione corazzata dell'esercito, un'unità di élite. A differenza di quanto accaduto in altre piazze della rivolta araba, dalla Tunisia all’Egitto, il nucleo centrale del regime non si è spaccato e ha mostrato fedeltà ad Assad. Ciò è in parte spiegabile con il tipo di relazioni che caratterizzano il regime al suo interno: un regime che si basa su forti legami di tipo clan familiare, che ne fanno un attore compatto e difficilmente divisibile. In aggiunta Assad continua ancora a ricevere il sostegno da parte di attori internazionali di primo piano, come la Russia.

In maniera quasi speculare l’opposizione è molto disomogenea, componendosi in essa molte anime spesso con obiettivi di lungo termine tra loro opposti e inconciliabili (opposizione secolare, riformista, curda, islamista…). Una polverizzazione di obiettivi e di visioni che rende il fronte dei ribelli più debole e vulnerabile nella sua sconcertante e innaturale aggregazione. Una aggregazione senza unità né di comando né di intenti, sgangherata e ferocemente assassina che al suo interno lotta contro chi combatte per il rispetto dei diritti politici. È la galassia dell’Islam politico diviso tra quanti sono riconducibili alla Fratellanza Musulmana, in Siria bandita fin dai primi anni Ottanta, e quanti aderiscono ai gruppi più radicali e fideistici di estrazione jihadista.

A tale scenario così flagellato si aggiunge che ogni Paese presente nella regione ha i propri interessi e reagisce in maniera particolare alla crisi, prima di tutto a motivo del grandissimo flusso di rifugiati che si è riversato e si riversa all’interno dei Paesi confinanti. Quella dei rifugiati ha assunto le caratteristiche di una emergenza umanitaria, cui i soli Paesi interessati non riusciranno più a far fronte da soli senza l’aiuto dell’Occidente. Le conseguenze maggiori si riversano sul Libano, sì da potersi affermare che il Libano è già coinvolto nella crisi siriana. Le milizie sciite di Hezbollah combattono in Siria a fianco delle forze del regime e accrescono il rischio di un’estensione del conflitto in Libano. Ci sono inoltre la Turchia di Erdogan e il fallimento della sua politica estera. Ankara aveva scommesso molto sui suoi rapporti con la Siria nell’ambito della sua politica regionale e, adesso, deve confrontarsi con un regime nemico ai propri confini. Israele, formalmente ancora in guerra con la Siria, aveva trovato in Assad un ‘nemico conosciuto’ e, in qualche modo aveva imparato a convivere con lui. Ora si chiede cosa potrà accadere dopo, essendo le incognite del dopoguerra inevitabilmente preoccupanti anche per Israele. Insomma la guerra in Siria ha le terribili potenzialità prenucleari per sconvolgere gli equilibri di tutta la regione mediorientale.

Le potenze straniere a supporto di Damasco

Tra i fattori che permettono al regime di Damasco di contenere l’offensiva dei ribelli non vi è solo la coesione del gruppo di potere centrale, ma anche il supporto di alcuni Paesi stranieri come la Russia, la Cina e l’Iran. Un supporto che si traduce anche in un sostegno economico notevole: girano a Damasco ben 500 milioni di dollari al mese, per quanto a livello di interessi strategici è la Russia, piuttosto che la Cina, a essere maggiormente interessata.

Assad rappresenta l’alleato principale di Mosca in Medio Oriente; in Siria la Russia ha la sua unica base navale sul Mediterraneo e la Siria è uno dei più fedeli acquirenti delle armi prodotte dalla Russia. La fine di Assad vorrebbe dire una notevole perdita di influenza in Medio Oriente per la Russia considerando le connessioni che vi sono tra il fronte ribelle jihadista anti-Assad e il jihad dei Ceceni contro il governo di Mosca. Una forma paradossale di schieramenti che per alcuni versi rende i nemici di Assad nemici della Russia.

Si è di fronte a uno scontro politico-religioso tra la oligarchia ereditaria siriana imperfetta ma tuttavia operante nell’ambito di una Repubblica Presidenziale e la teocrazia ottusa, lugubre, illiberale sostenuta dalle infinite anime islamiche, da secoli in lotta su tutto e contro tutti, del tutto estranea alle idee di “riconciliazione, perdono, dialogo e pace” per cui papa Francesco ha organizzato il digiuno e la veglia di preghiera. Uno scontro tribale proiettato con la violenza di 100 mila morti sulla scena mondiale, tra i quali emergono per numero e atrocità subite i cristiani: i cristiani d’Oriente che dopo la distruzione feroce di Maloula, cuore del cristianesimo siriano, hanno lasciato emergere il loro scontento nei confronti della Chiesa di Roma. Dalla parte dei ribelli dominano forze che ordinano di sottomettere all’islam ebrei, cristiani, atei, infedeli, apostati, contro cui si rivolgono disprezzo e odio e si legittimano violenze e morte.

Quale evoluzione?

La situazione non pare destinata a risolversi a favore di una parte o dell’altra, almeno nel breve periodo. È priva di senso ogni ipotesi su quali scenari si potrebbero venire a creare in Siria. L’unica certezza è che in ogni caso verrebbe a verificarsi una situazione di totale e prolungata instabilità: in caso di vittoria del regime di Assad, tutti gli elementi dell’islamismo radicale presenti in Siria si coalizzerebbero per combattere il governo, come successo in Iraq. Ma se Assad dovesse cadere, si creerebbe  un vuoto politico difficile da colmare e in cui tutti gli attori islamici attualmente uniti dalla sola opposizione al regime, si troverebbero l’uno contro l’altro. Dopo e nella guerra, ancora guerra.

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1)      Hezbollah, Partito di Dio, è un partito politico sciita del Libano, dotato di un'ala militare, con sede in Libano.

2)      Nella discussione teologica islamica, gli Sciiti pretendono che la guida della Comunità islamica sia riservata alla discendenza del profeta Maometto attraverso sua figlia o suo cugino. I Sunniti si differenziano dagli Sciiti per il loro netto rifiuto di riconoscere tale pretesa. Al contrario essi sostengono la necessità che la guida della comunità avvenga per elezione da parte di una ristretta cerchia come avviene per il segretario generale della Organizzazione della Conferenza Islamica.

3)      Hamās, Movimento Islamico di Resistenza, è un'organizzazione palestinese, di carattere politico, paramilitare e secondo l'Unione Europea terrorista. Hamās è il braccio operativo dei Fratelli Musulmani nella lotta contro lo Stato di Israele, la cui presenza nella regione della Palestina storica viene considerata illegittima.

4)      I Fratelli musulmani si collocano ideologicamente all'interno della galassia dell'estremismo islamico. Si oppongono alle storiche tendenze alla secolarizzazione e democratizzazione delle nazioni islamiche, in favore di un'osservanza da essi ritenuta più ligia ai precetti del Corano.  Lontanissimi dall’idea di democrazia, e ancor più lontani da quella di democrazia occidentale, sostengono con virulenza fideistica la teocrazia. Rifiutano pertanto il più possibile l'influenza occidentale e il Sufismo più estremo.

5)      Il Sufismo, unione antica del Cristianesimo e del neoplatonismo, è la forma più spirituale e meno politica dell’islam, rivolta alla propria ricerca interiore.