2013: La disgregazione incipiente


Pare ormai condivisa la opinione che il tempo che ci attende sia un tempo di disgregazione. Le ampie convergenze di azioni per logorare e porre fine al dominio di Berlusconi ne sono eloquente testimonianza. La fine di Berlusconi, ormai iscritta alla anagrafe della Storia, e la fine del berlusconismo, assai meno probabile, non sarebbero per sé gran danno se da quelle convergenze derivassero non solo spinte divisorie ma proposte perseguibili e unificanti. E’ una situazione infelice, la quale lascia ben poca consolazione, perché i processi di disfacimento di una società e di uno Stato in assenza di un equilibrio di poteri possono prendere accelerazioni improvvise e gli attacchi anche se non coordinati possono provocare danni irrimediabili. 
Il motore primo degli squilibri in atto è la Magistratura. In essa talune toghe con argomentazioni elitarie e solo apparentemente funzionali alla corretta amministrazione della giustizia, reagiscono con livore ultracorporativo anche a solo vaghe ipotesi di riforma liberale dell’ordine giudiziario. L’atteggiamento dei togati mobilitati è da ayatollah: difendono privilegi, poteri di “supervisione”, facoltà di scatenare il terrore giudiziario quando lo desiderano ma, al contrario che a Teheran, non sono in grado e non potrebbero assumere ruoli di governo. La loro azione produce dunque solo disgregazione. Questo sommovimento senza politica ha effetti tanto più devastanti quanto più si realizza in un quadro politico becero e dalle infinite contraddizioni. 
Se Berlusconi rappresentava bene settori fondamentali della società, non ha saputo esprimerli in una politica compiuta. Tremonti ha cercato di dare senso politico-economico alle basi sociali di Berlusconi e Bossi ma si è scontrato con forze centrali del potere economico. Monti soverchiato da una ambizione assai superiore alle sue reali attitudini e trascinato dalla incompetenza della maggior parte dei suoi ministri ormai caduti nell’oblio, ha cercato invano di proporre iniziative stabilizzanti il quadro politico. Bersani inanellando disastri su disastri, privo com’è di fantasia politica, rinchiuso in una ottusa posizione di stallo, del tutto inidoneo al ruolo che era stato chiamato a svolgere perdendo in una sola tornata elettorale che si annunciava trionfante, la presidenza del governo, la presidenza della repubblica, la segreteria del partito, ha qualcosa di tragicamente epico. Se il nuovo che appariva racchiudersi con promesse messianiche in Grillo, si è rivelato solo un sordido tentativo di logoramento dei partiti avversari, affidato alla incompetente arroganza di un branco di fantasiosi saltimbanco, assai pittoreschi nello loro movenze di ignari burattini, allora a seguito di quella sciagurata e inoppugnabile realtà rappresentata dal successo dell’accanimento giudiziario contro Berlusconi, pare essersi dissolta qualsiasi possibilità di governo. Qualcuno delirando descrive un’Italia simile alla Germania nazista. Forse la tragica realtà è simile piuttosto a quella della Repubblica di Weimar, dominata da anarchie politiche, etiche e anche sessuali. Se il risultato di quella sciagurata stagione tedesca fu il dominio dei militari, ora in Italia il pericolo è l’avvento della subdola dittatura dei magistrati. Certo, non si registrano decine di milioni di disoccupati, non v’è un avvilente trattato di pace e la crisi del 2008 è stata gestita in modo diverso da quella del ’29. Però lo stato comatoso della nazione e delle sue istituzioni ha cause analoghe a quelle che determinarono il crollo di Weimar: una Costituzione fatta non per governare uno stato democratico ma per evitare una guerra civile, con compromessi iniqui e inefficienti. Prima che esiti fatali ci travolgano, non possono escludersi altre possibilità compreso il voto anticipato: un terreno pieno di insidie che però può divenire l’unica scelta per chi non accetta che la sovranità popolare sia dispersa per via giudiziaria. Votare in autunno sarebbe una sconfitta politica ma sarebbe l’unico argine al fallimento costituito dall’arrendersi al paragolpismo giudiziario. L’obiezione di chi contesta questa scelta dicendo che finirebbe per punire il PdL non regge. Chiunque abbia il polso del paese sa come le toghe militanti, forti del potere di interdizione, abbiano così esasperato la società da lasciarla senza alternative rispetto alla leadership berlusconiana seppure etero-diretta. Sarà una leadership poco istituzionale e molto pragmatica, poco ideologica e molto rivolta alla potenza del fare. Ma non vi è dubbio che sia avvertita come l’unica protezione di libertà fondamentali da squilibri centralistici, oligarchici ed elitari.